Carcere e devianza: una nuova sfida per la carità
I confratelli della Conferenza centrale della Spezia stanno svolgendo un corso di formazione a distanza iniziato nel giugno 2020 e che si protrarrà fino a febbraio 2021
La popolazione carceraria oggi è sempre più caratterizzata dal fenomeno della cosiddetta “detenzione sociale” per cui le persone ristrette sono prevalentemente cittadini che sommano problematiche di carattere sociale a quelle delinquenziali (tossicodipendenti, disagio psichico, emarginazione sociale estrema, scarsa scolarizzazione, assenza di esperienze professionali, stranieri con problemi di integrazione sociale). A questo elemento si aggiunga che la legislazione più recente in tema di detenzione (l.199/2010, l 67/2014, legislazione sulla giustizia riparativa) tende a considerare sempre più il carcere come una “extrema ratio” a cui ricorrere solo per le condanne più gravi e nei casi di pericolo di reiterazione del reato, favorendo sempre più invece forme alternative di detenzione (misure alternative, istituto della messa alla prova, sospensione della pena, detenzione domiciliare, etc).
Questa scelta legislativa è supportata anche da alcune ricerche italiane, come quella che dimostra come la reiterazione di un reato (recidiva) si aggiri intorno al 70% per le persone che durante la esecuzione della pena non usufruiscono né di progetti di inclusione sociale, né di misure alternative sul territorio, mentre scenda al 20% per chi invece ne usufruisce[1].
Società di San Vincenzo de Paoli considera il carcere un impegno di carità tra i più difficili e coinvolgenti, perché colui che si pone al di fuori dalle regole del vivere civile, spesso sconta gravi carenze personali o vive condizioni pesanti di emarginazione, che portano più o meno consapevolmente alla devianza e al crimine. Al fine di favorire percorsi di aiuto efficaci nei confronti delle persone sottoposte a provvedimenti di limitazione della libertà considera fondamentale un approccio consapevole e guidato.
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